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La resilienza e i giovani

Le condizioni affinché lo sport produca resilienza

Resilienza è un sostantivo femminile. Indica la capacità di un materiale di assorbire un urto senza rompersi, e più precisamente in psicologia definisce la capacità di un individuo di affrontare e superare un evento traumatico, o un periodo di difficoltà, guardandolo in chiave positiva.

Fondazione Laureus affonda le sue radici epistemologiche sugli effetti positivi che la pratica dello sport reca alla vita delle persone, e utilizza questa idea per migliorare la situazione disagevole di migliaia di bambini nelle periferie italiane e del mondo.

Inserendo precocemente l’esperienza sportiva nella vita di un bambino o di una bambina, soprattutto se a rischio di esclusione sociale, si potrebbe ottenere un risvolto apprezzabile sulla struttura umana che andrebbe a edificarsi fino all’età adulta.

Interessante è allora comprendere quali sono le caratteristiche che lo sport dovrebbe avere per produrre simili risultati di resilienza, perché una superficialità d’analisi farebbe torto a tutti coloro che nutrono la speranza di donare qualcosa d’importante nella vita dei bambini attraverso un’attività sportiva professionale e qualificata.

Proviamo quindi a tratteggiare alcune delle condizioni di base affinché lo sport possa produrre resilienza in chi lo pratica.

Lo sport fa vincere tutti

1. Ambiente sportivo, allenatore, dirigente e società interessati alla persona

Detto in altre parole, il ragazzo deve sentire su di sé uno sguardo che lo riconosca nei suoi tratti umani distintivi, nelle sue principali caratteristiche psicofisiche e tecniche. Questo interesse, declinato all’interno di un linguaggio sportivo, è la base per generare una relazione di appartenenza destinata a creare un noi, dove l’io che partecipa al gioco sportivo non è confuso, ma distinto perché riconosciuto. Per una ricerca sull’abbandono sportivo, un ragazzo intervistato ha raccontato che all’inizio della prima media, dopo cinque anni di calcio alla scuola primaria, ha deciso di smettere in quanto l’allenatore lo guardava sempre come se fosse il bambino di un’altra squadra, e non della sua. Questo esempio ci fa capire che i ragazzi, per poter crescere, necessitano di una serie di caratteristiche che lo sport gli può consegnare, come un allenatore che si chini un po’ verso di loro e li chiami per nome. Lo sguardo scettico, deluso, insoddisfatto, schifato di un adulto, che si perpetua giorno dopo giorno, senza la compagnia di un consiglio, di un’esortazione, di una sgridata costruttiva, di un rinforzo, minano il ponte della relazione fiduciaria, facendo crollare quel pregiudizio positivo verso il miglioramento che è l’essenza dello sport e che nutre il giovane fino all’inizio della scuola superiore.

2. La modalità con la quale viene proposto lo sport deve essere coinvolgente

Nelle diverse fasi dell’attività sportiva i ragazzi devono avvertire la sensazione di gioiosa intensità sportiva. Quando un bambino entra nello spogliatoio deve sapere che lo aspetterà un tempo di vibrazioni. Molte di queste gli arriveranno dal suo corpo in movimento. Correre, saltare, inseguire, essere inseguito, domare un attrezzo, sentire il respiro affannato, il cuore che batte forte, i muscoli che si contraggono, il sudore che scende sul viso, gli daranno la sensazione di attingere alle proprie risorse interne per incontrare il mondo. Altre vibrazioni gli arriveranno invece dall’interazione con i compagni. Collaborare, aiutare, difendersi, attaccare, scegliere il gesto migliore da compiere, osservarli, capire i “segreti” della loro diversità. Altre ancora saranno date dalle osservazioni che l’allenatore farà ricadere su di loro. I ragazzi si ricorderanno soprattutto del suo sguardo, del tono della sua voce, dal grado d’intensità che il suo corpo trasmette. L’allenatore deve essere il depositario di un desiderio collettivo che narra della voglia di diventare più bravi tutti insieme. Se questo avverrà, ci sarà un trascinamento delle competenze di vita di ognuno verso forme di autostima sempre più utilizzabili per fronteggiare le vicende non sempre rosee della vita.

3. Giusto equilibrio tra frustrazione e gratificazione

È un’alchimia tra le più entusiasmanti da ricercare. Innanzitutto occorre partire dal riconoscimento delle qualità. La domanda è: “in che cosa è bravo il mio atleta?” L’imperativo per l’allenatore è trovare un talento piccolo o grande che sia e …dirglielo! Sapere che una persona importante ha trovato una cosa buona e me lo dice è fondamentale perché io possa successivamente accettare le sue richieste, anche critiche.
Lo sport che costruisce resilienza sarà un continuo alternarsi di gratificazioni e di fatiche, di vittorie e di sconfitte. Fornire al ragazzo la frustrazione ottimale, si connoterà quindi come uno degli elementi educativi più preziosi nel cammino di un giovane.
Dove la parola ottimale racconta la necessità di dosare la frustrazione affinché porti ai risultati sperati. Se la frustrazione è assente, o troppo diluita, crea illusioni di onnipotenza che crollano alle prime difficoltà vere; se è eccessiva alimenta fenomeni di fuga e di abbandono.

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4. Lo sport deve essere gestito da una persona adeguata alle ambizioni che si vorrebbe riporre in questo fantastico strumento

Una persona che sappia incarnare accoglienza, autorevolezza e competenza. Tre caratteristiche tutte indispensabili per riuscire a essere costruttori di resilienza nei ragazzi. Possederne due su tre non basta. Se uno di questi elementi fosse carente o assente, gli altri non reggerebbero alla richiesta formativa. Fondazione Laureus lavora sul piano della formazione permanente per consentire agli allenatori d’iscriversi in questo cammino fatto di tre strade, perché nessuno si può definire “imparato” per sempre. I ragazzi cambiano nel corso del tempo, e la possibilità di essere accompagnati da uno psicologo dello sport, che Fondazione Laureus mette a disposizione dei diversi progetti, apre all’allenatore la possibilità di un confronto continuo sui temi che emergono dall’interazione con i ragazzi.

5. L’ambiente sportivo deve essere una palestra di vita dove si incontra l’indispensabilità delle regole per vivere bene, gareggiare e divertirsi

Sul campo di gioco si impara ad avere norme precise condivise con i rivali, la cui osservanza è necessaria per vincere. Si impara ad affidare a un soggetto terzo, l’arbitro, il compito di decidere. La costruzione del futuro cittadino attraverso lo sport passa esattamente da questo punto. In questi nostri tempi caratterizzati da un’eccessiva e ingombrante presenza di un io che è referente solo di sé stesso, frequentare un ambiente fatto di regole certe, tra limiti che non si possono spostare a piacimento, diventa fondamentale per la crescita dell’atleta.

6. Lo sport, per ottenere dei risultati sul piano della costruzione della personalità, deve prevedere degli incontri di tipo agonistico

Questi sono dei momenti emotivamente forti perché si cercherà di vincere, e questo non è un male, anzi.  L’agonismo va tuttavia vissuto con attenzione e gradualmente, in relazione all’età. Quel che conta è lo spirito culturale con il quale approcciarsi all’agonismo, che deve essere ludico, civile e assolutamente non drammatico.
Le gare, le partite, sono dei momenti di confronto, sono delle feste, delle occasioni per capire quale livello di gioco si è raggiunto, sono delle verifiche utilissime per mettere poi l’energia e gli sforzi nei punti giusti, quando si tornerà ad allenarsi.
Un grande lavoro sui genitori in questa prospettiva attende ogni operatore educativo sportivo.
Dentro le emozioni delle vittorie, ma in particolar modo all’interno delle sconfitte, la resilienza passerà dalle parole ai fatti diventando carne, perché è l’esperienza vissuta che crea il cambiamento lasciando un segno indelebile nella fiducia che un individuo o un gruppo portano con sé stessi per sempre.

CONCLUDENDO

Senza queste condizioni, alle quali se ne potrebbero aggiungere altre più dettagliate, parlare di sport come motore di resilienza appare come un bel titolo, ma si sa che gli sportivi amano più la concretezza e meno gli annunci.

Articolo di Giovanni Vittorio Ghidini, Coordinatore educativo Fondazione Laureus Italia